Premettendo che nessun scrittore è immune da
difetti narrativi – persino mostri sacri della letteratura ne avevano – ritengo
vi siano delle trappole insidiosissime per ogni scrittore e che è bene evitare con ogni cura. La loro presenza nel tessuto narrativo fa in modo che si sia riconosciuti come “scrittori alle prime armi”. In sé il fatto non è per nulla
disdicevole – tutti siamo, o siamo stati, alle prime armi in qualcosa – ma con
qualche semplice accorgimento e uno sforzo minimo possiamo individuare questi
punti critici, renderci conto dei problemi e migliorare il testo in maniera
efficace.
Con questo titolo autoironico apro dunque una sottocategoria
dell’etichetta ‘Pergamene, penne e inchiostro’, per indicare quali falle nel
sistema-scrittura sarebbe meglio evitare. Ogni tanto, quindi, ve ne proporrò qualcuna. Comincio con tre, particolarmente
endemiche:
L’uomo proseguì
lungo il sentiero seguendo la strada
di destra, dove si susseguivano basse
cascine, e di conseguenza campi di
mais. Nel frattempo seguiva il corso
dei suoi pensieri e, seguitando in
questo modo, si sentì un seguace del
tempo che passava.
Ho definito questo
fenomeno “parole a palle incatenate” perché, come accadeva con le palle sparate
dai cannoni della marina nel secolo XIX, che spazzavano i ponti delle navi
nemiche, causando morti, feriti e orribili mutilazioni tra i marinai, l’effetto
è devastante per la narrazione e per chi legge: una sembra chiamare l’altra,
annullando l’efficacia della frase e invadendola con la loro presenza, e tutte
insieme fanno terra bruciata del momento narrativo.
"L'Incubo" di John Henry Fuseli (1781) Institute of Fine Arts di Detroit - La lettura di certe pagine diventa un vero incubo per il lettore! |
La ninna nanna del -mente e della mente
A scuola i nostri
insegnanti di italiano ci invitavano a diffidare dall’uso smodato dell’avverbio
-mente, e non avevano tutti i torti. Oltre a rendere lunghissimi aggettivi già
lunghi grazie al malefico suffisso, l’affollarsi degli avverbi in -mente crea
un fastidioso effetto ritmico e rimato che, a lungo andare, induce il lettore
alla sonnolenza profonda o al vero e proprio sonno. Facciamo il solito esempio
estremo:
In cucina la donna incominciò a mescolare delicatamente la maionese nella ciotola. Nel
frattempo il marito russava sonoramente
nell’altra stanza, mentre il bambino dormiva tranquillamente nella culla. Pensò malinconicamente alla sua vita, trascorsa tra bucati e pulizie della casa.
Quando qualcuno suonò prepotentemente
il campanello alla porta, però, alzò prontamente
la testa, e andò velocemente ad
aprire.
Terribile, non trovate?
Eppure accade più spesso di quanto non si creda. Basta un attimo, e i
fastidiosi avverbi in -mente si introducono nella frase, sinuosi come anguille,
per costituire un vivaio dove proliferare... lestamente e subdolamente!
Quel petulante “che”
No, non mi riferisco al
comandante Ernesto Guevara, detto il Che, ma alla congiunzione che affiora di
continuo da un periodo appena più complesso di soggetto-verbo-complemento
oggetto. Non appena lo scrittore tenta qualche esperimento di maggior
concatenazione delle frasi, questi pestilenziali ‘che’ rizzano la testa e
cominciano a correre e a starnazzare qua e là come un branco di oche in libera uscita.
![]() |
"The Goose Girl" di Adolf Lins, ovvero la scrittrice alle prese con il branco degli starnazzanti 'che'. |
Persino il lettore più
indulgente, a questo punto, comincerà ad arrotare i denti, specie se a questo
frase ne farà seguito un’altra del tutto simile; e non parliamo poi se la cosa
accadrà ad ogni pie' sospinto. Ci sono scrittori che usano la ripetizione come cifra
stilistica, ma lo fanno in modo del tutto consapevole e – credetemi – il
lettore si accorge della differenza!
Quali sono i rimedi? Possiamo chiamare in nostro soccorso:
- un editor che abbia la pazienza di rileggere il manoscritto e segnalarci qualsiasi cosa non lo convinca, comprese queste (vedi il post precedente: http://ilmanoscrittodelcavaliere.blogspot.it/2013/06/conversazione-xiii-leditor-chi-e-costui.html);
- un amico o un familiare con una buona esperienza di lettore, e possa equivalere a un editor;
- la tecnologia: cioè il programma in Word in cui digiteremo le parole che ci sembrano ripetute, in modo da evidenziarle e sostituirle, dopo averci ragionato sopra con santa pazienza.
Non scoraggiatevi!
Piuttosto siate severi con voi stessi, vedrete che ne varrà la pena. Ne
ricaverete grandi soddisfazioni: non c’è niente di più bello di una frase che è
proprio come la volevamo.
Alla prossima!
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