uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all'altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
(da Giorno dopo Giorno, di Salvatore Quasimodo, 1946)
Questa è una poesia che lascia un solco. Non trovo le parole per dire ciò che suscita in me. Grazie per averla postata. :)
RispondiEliminaSai che dopo averla postata ho scoperto dal giornale che oggi è proprio l'anniversario della sua morte? Credo sempre più che le coincidenze non esistano.
EliminaUna delle poche poesia che sia riuscita a colpire anche i miei (assi poco poetici) alunni!
RispondiEliminaGrazie del commento, Tenar. Allora c'è qualche speranza per le sorti della poesia!
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