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La copertina del romanzo edito da Graphofeel |
Di questo romanzo mi hanno colpito vari aspetti, in primo luogo lo stile: se non avessi saputo a priori il sesso dell’autore, avrei detto con sicurezza che il romanzo era stato scritto da una donna. Lo stile è curato, aulico, a tratti magniloquente, e ben si sposa con l’ambiente in cui sono narrate le vicende. Nella descrizione dello scenario dove si muovono i protagonisti, Lucio D’Ambra calca la mano al punto da apparire, talvolta, zuccheroso: il Mandorleto è il nome della casa dove vive Sisto con i suoi familiari, i Mandorlieri è il soprannome della lieta brigata di giovani fra cui Sisto; i mandorli, quasi perennemente in fiore in un’eterna primavera, si specchiano nel lago, nevicano petali senza soluzione di continuità. Il rapporto con la madre, poi, è decisamente edipico, forse in contrasto con l’italica, virile mentalità dell’epoca, o forse fin troppo in linea con il ruolo di moglie e madre che si voleva per le donne. I titoli dei capitolo sono evocativi e fiabeschi: Il disegno in seta del mandarino cinese, Dietro il paravento dal pavone bianco, Girotondo ai tre mandorli, Fiori di mandorlo su vecchie pergamene… solo per citarne alcuni.
Romanzo di maturazione, come si è detto, eppure… anche dopo che la tragedia è passata come una tempesta sconvolgente, e la superficie dell’acqua, prima confusa, è tornata limpida, si ha l’impressione che ben poco sia cambiato nello spirito del protagonista. Sisto continua a rimanere chiuso nell'ambito del Mandorleto mentre gli amici, loro sì, specie Alessandro, vanno a studiare altrove o decidono di partire per affrontare il mondo. Addirittura, il talento musicale di Sisto sembra sbocciare senza quasi nessuna fatica, mentre sono noti i lunghi anni necessari per la maturazione di un talento in ambito musicale, anche a chi, come me, non sappia nulla di musica. Tutto gli arriva come servito sopra un vassoio d’argento, facile e beato, ed egli arriva rapidamente alla notorietà fin da giovanissimo al punto da essere paragonato ad un Mozart redivivo. I familiari adoranti sembrano riflettersi e perpetuarsi nel mondo di coloro che, all'esterno, lo venerano. E, dunque, una prima ipotesi è che il Mandorleto non sia affatto quel luogo fiabesco che l’autore ha voluto descrivere, ma un organismo terribile, che ha stritolato ed espulso dal suo interno il corpo estraneo che ha osato attentare allo status quo, e può così perpetuare la sua esistenza inalterata. Una seconda ipotesi è che Lucio d’Ambra forse intuiva che ben altre tragedie erano alle porte dei confini nazionali e, quindi, che il ritratto del Mandorleto sia un omaggio affettuoso ad un mondo piccolo-borghese che andava scomparendo insieme con i suoi valori.
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Ramo di mandorlo fiorito di Vincent Van Gogh (1890) Van Gogh Museum - Amsterdam http://www.vangoghmuseum.nl |
La riproposta di un testo come questo da parte della casa editrice Graphofeel nella collana Code di Volpe (per cui ho già recensito il romanzo Cléo Robes et Manteaux di Guido da Verona, recensione qui) è senza dubbio interessante, esattamente come si vedrebbe con occhi attenti un documentario dell’Istituto Luce per capire meglio un pezzo della nostra storia di "ieri". Si sa, noi italiani abbiamo la memoria di un pesce rosso oppure tendiamo a rimuovere il nostro recente passato come se non fosse mai esistito.
Lo stile magniloquente, lo ammetto, mi spaventa un po', ma descrivi questo libro in modo molto affascinante.
RispondiEliminaIn effetti è uno stile cui non siamo più abituati... mi viene da pensare che faccia il paio con l'ostentata virilità del ventennio in cui è stato scritto!
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