La piovosa giornata di ieri, 2 novembre, mi ha ispirato la scelta del quadro da portare nella mia collezione sull’isola deserta. L’ultimo dipinto che vi ho presentato è “La culla” (“Le berceau”), della pittrice francese Berthe Morisot. Se volete leggere o rileggere il post lo trovate qui.
Anche stavolta siamo a Parigi, ma in un esterno e in un giorno di pioggia. L’opera s’intitola “Strada di Parigi in un giorno di pioggia” (“Rue de Paris, temps de pluie”) è fu realizzata dal pittore Gustave Caillebotte nel 1877. Viene conservata all’Art Institute of Chicago.
È un quadro raffinato e che mi ha sempre affascinato per vari motivi: l’ambientazione urbana di una città che amo molto, le strade che si intrecciano davanti ai nostri occhi, come pure le traiettorie dei passanti, il taglio preciso che richiama la fotografia, il viso assorto dei passanti, la pioggia che cade e fa luccicare la pavimentazione.
Ma prima vediamo di fare un po’ di contestualizzazione…
			
			Una Parigi nuova di zecca
Tra il 1852 e il 1869 l’urbanista Georges Eugène Haussmann rinnovò la città su incarico dell’imperatore Napoleone III, e per questo ricevette il titolo nobiliare di barone. Lo potete vedere qui in una fotografia del tempo.
All’epoca Parigi era una città ancora medievale, con quartieri dalle strade strette e dalle case ammontate le une sulle strade, da cui scaturivano sia epidemie dovute al sovraffollamento sia insurrezioni. Il labirinto di strade ben si prestava a erigervi barricate, nel corso di rivolte e rivoluzioni molto difficili da domare. Vivo e preoccupante per le autorità era il ricordo delle Tre Gloriose Giornate (27 al 29 luglio 1830), durante le quali il popolo parigino era insorto contro il re Carlo X, portando all’ascesa di Luigi Filippo d’Orléans.
Altro obiettivo era suscitare un robusto slancio economico nel settore dell’edilizia e commerciale, valorizzando i monumenti esistenti e costruendone altri. Le grandi strade servivano anche a migliorare la gestione del traffico di Parigi, rendendo più scorrevoli le diverse arterie.
Qui accanto potete osservare Place de Dublin in una foto scattata nel 2010, centotrentatré anni dopo la realizzazione di “Strada di Parigi in un giorno di pioggia”.
			Il ritratto della borghesia
Nell’opera vengono rappresentati i borghesi che attraversano la strada senza guardarsi attorno, sotto l’ombrello aperto e come persi nei propri pensieri, o affrettandosi alle loro occupazioni, le mani in tasca e lo sguardo fisso sul marciapiede o sul selciato (a parte la coppia in primo piano). L’atteggiamento di questi passanti assomiglia molto a quel che succede ai nostri giorni, dove quasi tutti sono ipnotizzati dal proprio smartphone al punto da osservarne lo schermo anche quando attraversano la strada, col rischio di scontrarsi con altri passanti o, peggio, di finire sotto un’automobile.
Gli ombrelli grigi sono come corolle di fiori rovesciati, che sembrano fluttuare sulle correnti, dondolando. A sinistra si intravede una carrozza, e al centro della tela c’è un lampione alto e sottile, che spartisce in due lo spazio. C’è un altro uomo sulla destra, che vediamo di spalle ed è intento a reggere l’ombrello, ed è tagliato a metà. Sullo sfondo ci sono persone di ceti sociali più umili – come artigiani con le scale – e non ben definite dalla pennellata.
La pennellata è precisa e i volumi sono ben definiti, a differenza della pittura impressionistica. I colori di tutta la tela sono freddi e grigi, e coinvolgono sia i palazzi sia le persone, sia la pioggia che scende sottile sulla strada, e conferiscono alla raffigurazione un velo di malinconia.
L’unico segno di una qualche vivacità è rappresentato dalla coppia in primo piano, la cui attenzione è attirata da qualcosa di esterno alla tela. Entrambi sono elegantissimi e vestiti all’ultima moda: lui ha un cilindro, un cappotto a tunica che si alza leggermente, un panciotto, dei pantaloni grigio tortora e un papillon; dà il braccio a lei, che indossa un cappellino con un velo, un orecchino di perla, una giacca guarnita con l’ermellino.
Lo spleen di Baudelaire
La place de Dublin non è un luogo di socializzazione, come potrebbe essere se si vi fosse tenuto un mercato o comparissero dei ritrovi come i caffè, ma un incrocio di direttrici che però non “colloquiano” tra loro. Si tratta della rappresentazione della solitudine della città, in quello spleen che Baudelaire – qui in un ritratto del fotografo Nadar nel 1855 – aveva cantato nella sua raccolta “I fiori del male”.
Per finire, vi propongo qui la sua poesia “A una passante” tratta da “I fiori del male”:
La strada era assordante, urlava tutt’intorno.
Esile ed alta, in lutto, regina dolorosa
una donna passò, con la mano fastosa
sollevando il vestito, di trine e balze adorno.Leggera, nelle gambe una scultorea grazia.
Negli occhi suoi, cielo ove s’annuncia l’uragano,
bevevo, come quello ch’è fatto ossesso e strano,
la dolcezza che incanta, il piacere che strazia.Un lampo… poi la notte! Bellezza fuggitiva,
che con un solo sguardo la vita m’hai ridato,
non ti vedrò più dunque che nell’eterna riva?Altrove, in lontananza, e tardi, o forse mai!
Non so dove tu fuggi, tu non sai dove vado,
io t’avrei certo amato, e tu certo lo sai!
			
Cristina M. Cavaliere
Fonte immagini: Wikipedia
					
                    


