Aprile, il più dolce dei mesi, sta ormai finendo, e quindi vorrei concluderlo con un articolo un po’ diverso dal solito. Vi propongo dunque un breve amarcord musicale, offrendovi dei brani musicali di cantautori italiani che mi sono molto cari – gli intenditori magari storceranno il naso! Ho spesso ascoltato queste canzoni, nella mia adolescenza e anche oltre. Essi evocano ballate e atmosfere di quel periodo storico così vituperato e infarcito di stereotipi che è il Medioevo. Potevate dubitare della mia scelta? Cominciamo subito!

1. Parsifal è il sesto album e uno tra i più noti 33 giri dei Pooh, uscito nell’estate del 1973, ed è il primo album senza Riccardo Fogli, sostituito al basso da un giovane chitarrista trevigiano, Bruno Red Canzian, già leader di una band rock-progressive. Nel brano che mi interessa, e che dà il titolo all’album, i Pooh si ispirano al personaggio wagneriano del Cavaliere del Graal che ha sacrificato la propria esistenza nel tentativo di redimere l’umanità.


Ecco qua il link Youtube per ascoltare la canzone che si avvale di un lungo brano strumentale alla fine, di grande forza evocativa. Si è molto discusso in occasione dell’assegnazione del premio Nobel a Bob Dylan se il testo di una canzone possa assurgere a nobiltà letteraria. Non entro subito nel merito, ma parole come “re della luce” e “fanciulle fiore” a mio parere qualche tocco di poesia ce l’hanno.

Le prime strofe della canzone sono:

Chiaro è il mattino che nasce dall’Est 
questa foresta è tua…
Nato selvaggio puro nell’anima
non sai paura cos’è.
Quei cavalieri simili a Dei
non li hai mai visti però
non paura nasce dentro. …




2. Nella mia carrellata non poteva certamente mancare il menestrello italiano, ovvero Angelo Branduardi. Ho avuto davvero difficoltà a scegliere nella sua vasta produzione, ma alla fine mi sono orientata sulla canzone Il signore di Baux che fa parte dell’album Cogli la prima mela pubblicato nel 1979.  Nella foto qui sopra potete vedere Baux-en-Provence con le rovine del castello sulla sinistra. 
La musica ha un andamento cupo e quasi ossessivo, dove sembra quasi di sentire il ritmo degli zoccoli dei cavalli sul terreno e sulle pietre del maniero, ed è ritmata dalla parola “sassi” (La casa sua il signore di Baux / l’ha costruita sui sassi… Passi di mille cavalieri / segnano i suoi sentieri, / vegliano dall’alto nella notte / gelidi i suoi pensieri… ). Su alcuni siti ho letto che Branduardi si sarebbe ispirato a un’antica leggenda provenzale secondo cui i signori di Baux, una potente famiglia di feudatari, sparirono durante una notte.Qua il link Youtube alla canzone.


3. Appassionato cultore del Medioevo era anche Fabrizio de André, che nel 1965 pubblicò un 45 giri con due canzoni, sul Lato A: Per i tuoi larghi occhi e sul Lato B: Fila la lana, che qui vi propongo. Il cantautore aveva presentato questo brano medievaleggiante come “una canzone popolare francese del quindicesimo secolo” che aveva conosciuto tramite Vittorio Centanaro.

In realtà era stata composta da Robert Marcy nel 1948 e interpretata da Jacques Douai nel 1955. La versione originale trae a sua volta spunto dalla canzone Malbrough s’en va-t-en guerre (XVIII secolo). La guerra di Valois di cui si parla è più nota come guerra di successione bretone (1361-1364), conflitto secondario che si svolse nell’ambito della guerra dei cent’anni.


Ecco il link alla canzone. Essa riprende il tema del cavaliere senza macchia e senza paura, cosa molto spesso priva di fondamento e di cui De André giustamente dubita, e della sua dama innamorata che aspetta invano il ritorno. La canzone è giocata sul contrasto tra il ritmo baldanzoso delle strofe dedicate agli uomini che vanno alla guerra e ne ritornano, rispetto a quelle intrise di malinconia che hanno come protagonista la donna. Ha un intento dichiaratamente antimilitare, come anche Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, divertentissima e dissacrante.



4. Non amo particolarmente il cantautore italiano Francesco Guccini, a parte alcune canzoni ben selezionate; non me ne vogliano i suoi estimatori, e non mi tirino verdure andate a male come negli spettacoli in cui si veniva messi alla gogna, ma i gusti sono gusti e su questo non si discute.

Tra le eccezioni si colloca La canzone dei dodici mesi. Essa fu pubblicata nell’ambito dell’album Radici del 1972, e mi fece pensare subito al Medioevo, forse per quel ritornello che cita le carte dei tarocchi (O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. / Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, / la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare). Per questo motivo l’ho sempre amata molto.

Il ritmo della canzone ricorda una ballata e alcune immagini, come “il gonfalone amico” del mese di maggio e “la rosa che dei poeti è il fiore” o “Luglio il leone“, sono tratte di peso dall’Età di Mezzo. Splendida la chiusa del mese di dicembre: nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre. Credo che il testo di questa canzone si possa annoverare tra i vertici della composizione d’autore, per riprendere il discorso relativo alla nobiltà della canzone; così sapete come la penso. Ecco dunque a voi il link della versione tratta dall’album, e con quest’ultima proposta chiudo il mio personale amarcord, che spero vi sia stato gradito.

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Approfitto anche per chiedervi: se doveste scegliere quattro canzoni che hanno maggiormente contrassegnato la vostra giovinezza, quali sarebbero?

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Fonti:

  • Wikipedia per le fotografie
  • I testi completi delle canzoni sono reperibili sul sito http://www.angolotesti.it
  • Quadro “La regina Berta e le filatrici” di Albert Anker (1881)
  • “Il mondo” nei tarocchi di Marsiglia