Nonostante una settimana di fitti impegni, ho avuto anche il piacere di inaugurare, giovedì 13, la mostra di Daniela Carcano, pittrice, e Giuseppe Turati, fotografo. Presentare i lavori di altri due “creativi”, anziché essere presentata, è stata un’esperienza bellissima che spero di ripetere, magari per qualche amico di penna. Si ha la sensazione di uscire un po’ dal proprio orticello e innescare un circolo di energie virtuose collegando diverse forme espressive.

La mostra è stata allestita presso il Centro culturale Il Pertini, una grande e attivissima biblioteca di Cinisello Balsamo che organizza eventi culturali: teatro, conferenze, presentazioni, concerti, mostre, eventi con le scuole e altro ancora.

La mia introduzione è stata impreziosita dagli interventi musicali dell’ensemble Alois & James Quartet, che ha eseguito le colonne sonore di cinque famosi film (Balla coi Lupi, Schindler’s List, Forrest Gump, La vita è bella, Chocolat) e che si esibisce a beneficio dei pazienti ospitati nei centri di malati di Alzheimer.

Tra un brano e l’altro ho potuto introdurre i lavori dei due artisti in mostra, e vorrei condividere con voi questo momento molto arricchente con il discorso che mi ero preparata, perché contiene degli spunti di riflessione interessanti anche per noi.

Introduzione

Il titolo della mostra è “Punti di vista in bianco e nero o poco più…” e compendia lo sguardo di questi due artisti sul mondo, e la voglia di unirlo in maniera simbiotica. Pittura e fotografia diventano quindi l’espressione di un percorso che parte in maniera separata, con l’uso di tecniche differenti, ma poi si fonde in una strada comune.

Il gemellaggio tra due artisti è l’espressione di un’unità di intenti che è positiva e arricchente non solo per i diretti protagonisti, ma anche per chi osserva le loro opere esposte nello spazio di una mostra.


Giuseppe Turati, fotografo

Presento per primo Giuseppe con una frase molto breve, quasi secca: un fotografo è un poeta. Parlo naturalmente non della fotografia mordi e fuggi che ci contraddistingue, quando scattiamo in maniera compulsiva nella frenesia di fermare il tempo che passa e, perché no, di esorcizzare la morte condividendo i nostri ricordi oppure in una costante frenesia di comparire. Parlo di fotografie che, come la poesia, colgono particolari che a noi, camminando di fretta e con l’occhio intento a fissare, magari, lo schermo di uno smartphone, sfuggono inesorabilmente. Il fotografo-poeta li cattura, e in questo caso li nobilita con l’uso del bianco e nero.

Lungi dall’essere uno strumento neutro, come qualcuno proclamò al suo apparire, la macchina fotografica diventa così un occhio sul mondo, con scelte ben precise e quasi programmatiche, che denotano la cifra stilistica del fotografo oltre che i suoi interessi, come nel caso di Giuseppe.

Perché dunque quell’immagine e non un’altra? Perché è il risultato di un processo del tutto interiore, che emerge dal profondo e che si avvale di tempi lunghi come in una lenta germinazione al buio. Le fotografie di Giuseppe appartengono a questo novero, e, parlando di germinazione, non è un caso che in loro la natura sia particolarmente presente.

Così, abbiamo paesaggi con alberi avvolti nella nebbia e un terreno imbiancato di neve, dove la simmetria delle piante è interrotta da un albero spezzato che, cadendo, si è appoggiato sul vicino, chiedendo sostegno, oppure intralciandone la crescita. Si è aperto un varco, come un passaggio verso un “al di là” che non è solo spaziale.

Lo stesso può accadere osservando l’immagine di un tronco ritorto nella neve, nello sforzo di una nuova nascita, o forse nella lotta per non morire, di un fiore aperto al suo massimo e che ci rivela la perfezione del mondo, di misteriose linee create dal fango rappreso, la cui lucidità richiama una pelle animale, delle venature di una foglia di verza che la fanno assomigliare a un oggetto di altri mondi.

Immagini da contemplare lungamente, come in quella che prediligo, la misteriosa margherita che si sporge dallo spazio nero, sulla sinistra della fotografia, e sembra chiamare qualcosa o qualcuno, o forse osservare proprio noi, nello stesso modo in cui noi la guardiamo. Non tutto va spiegato a livello razionale, ma tutto va meditato.

Ognuno di noi ricava dall’immagine il significato, ne fa scaturire personali emozioni, oppure ammira semplicemente lo scatto, in silenzio, facendo affiorare simbolismi inconsci e arricchendo il proprio mondo interiore. Basta anche solo un’immagine per arrivare a tanto.

Daniela Carcano, pittrice

Lo sguardo di Daniela, invece, ci sorprende in questa sua nuova proposta, per molti versi simbolica ed enigmatica, e tuttavia a me è sembrata lo sbocco naturale di un percorso iniziato da tempo.

Agli inizi Daniela ha inaugurato infatti la sua produzione artistica con opere dove la figura umana è chiaramente riconoscibile, pur attraverso un uso del chiaroscuro molto marcato. Nelle sue proposte, la persona viene catturata nel compiersi di un piccolo gesto o nel balenare di un’espressione, un vero “attimo fuggente”. Vi sono spesso figure che sprigionano una forte sensualità di corpi nudi che emergono con il colore nero. Nella mostra che avrete occasione di ammirare, questa modalità espressiva è rintracciabile in opere come “Cenerentola” o “Un filo di fumo” (opera qui accanto).

Daniela ha poi cominciato a unire, alle figure delineate in chiaroscuro, materiali metallici e brillanti come l’oro e il rame. Dagli intarsi sono emerse le sinuosità dei corpi femminili, la tensione dei muscoli maschili, i profili assorti dei volti che si confondono negli scintillanti fondi oro, bizantini o, almeno, klimtiani.

Con il tempo l’artista è andata oltre e non si è fermata al supporto classico della tela o della carta, e con varie tecniche ha sperimentato e giocato in modo libero e gioioso: le tele, il legno e le sue venature, i morbidi pastelli, le chine dalla precisione chirurgica; e poi reticelle, pezzetti di vetro, che hanno conferito sempre maggior consistenza materica ai suoi lavori.

Nella sua produzione più recente, che è questa, gli intarsi e gli sfondi inseriti nelle sue opere, le linee geometriche insistenti, la preziosità dell’oro e del rame hanno infine prevalso sulla rappresentazione figurativa, quasi che il piano dell’inconscio e quello onirico, emergendo, abbiano posto saldamente il loro dominio nel regno espressivo dell’artista. Per il momento. Questo non è un nascondersi, ma il contrario: è una rivelazione di quello che si cela interiormente, e un’operazione coraggiosa di per sé.

Inoltre, esattamente come nei quadri di Magritte, anche i titoli delle opere rivestono la loro importanza e sono come brevi frasi poetiche. Due per tutti, “Ogni mia cellula è un eterno di voi” (opera qui accanto) oppure “L’amore mi avvolge come un’armatura inattaccabile”.

Nelle opere di Daniela, di marcata ispirazione surrealista, osserviamo e cogliamo appena la forma di due mani che si toccano, un occhio che fissa, un volto appena abbozzato. La figura umana appena s’intravede, come in: “Comunque sia… si è sempre soli” dove la persona è ormai prigioniera di un labirinto di linee e segni che creano dei percorsi intersecanti, e dove le geometrie invadono perfino le nuvole che piangono; o in “Decadenza” dove questo è particolarmente evidente, con il concorso di muri sgretolati, pietre cadute e due figure affrante di cui una, ormai, si è definitivamente trasformata in manichino.

Pur con l’arrivo di una sfumatura di malinconia, però, non dobbiamo dimenticare la personalità dell’artista, gioiosa e solare, che pare irradiarsi ed esplodere nell’opera “Il bambino che c’è in noi alimenta i piccoli entusiasmi”, oppure in “Solo chi sogna può volare” dove la figura umana, svincolata dalla materia, pare unirsi a un paesaggio che è sotto di lei, ma che del paesaggio è parte, a testimonianza che la personalità non è mai uguale a se stessa, ma è ricca e composita.

Le proposte sono dunque molteplici, e tutte molto interessanti, come in questa “Trovo conforto nel tocco delle tue mani“, dedicata alla madre di Daniela.



Conclusione


Chiudo con un pensiero che, in questi anni, mi ha sempre accompagnato: il vero valore di un artista, come autore ed essere umano, è il fatto di continuare a esprimere se stesso al di là delle mode e degli opportunismi, e della dimensione mondana che non deve mai avere il sopravvento. Questi due artisti ce lo dimostrano ampiamente, donandoci, oltre ai loro lavori, anche un prezioso insegnamento di libertà.

***



Nella mostra è stata posta su un cavalletto un’opera che, qui nella fotografia, si scorge di lato: un’opera molto speciale, che Daniela ha realizzato per me, con l’inconfondibile fondo oro. 


Che cosa sarà? Lo saprete nel prossimo post! Nel frattempo si accettano ipotesi. 🙂

Le fotografie e i quadri presenti sono (c) Giuseppe Turati e Daniela Carcano.