Print Friendly, PDF & Email

Il romanzo “Com’era verde la mia vallata” di Richard Llewellyn racconta qualcosa di condivisibile da tutti: la memoria di un’infanzia vista come il periodo del magico e delle possibilità, l’amore per il luogo che ci ha visto nascere e lo scempio perpetrato sull’ambiente per mano dell’uomo.

Le vicende vengono narrate in prima persona da Huw Morgan, ormai adulto e in procinto di abbandonare la sua casa, situata in un paesino del Galles; l’edificio verrà demolito per far posto ai detriti delle miniere di carbone. Le scorie si stanno diffondendo come un vero e proprio cancro, in un paesaggio un tempo fertile e pacifico.

Huw è particolarmente legato al ricordo della madre, figura che ricorrerà spesso nel romanzo. Usa infatti una sua pezzuola azzurra per involtare alcuni oggetti prima di andarsene.

Eccomi qui in questa casa silenziosa a ripensare la mia vita, e a ricostruirne le parti cadute. Mi sembra che la vita dell’uomo non sia altro che un motivo scarabocchiato sul libro del tempo, con poco pensiero, poca cura e nessun senso del disegno. Perché mai, mi domando, la gente soffre quando non ce n’è bisogno, quando uno sforzo di volontà e un po’ di lavoro assiduo basterebbero a togliergli dalla loro miseria e dar loro pace e contentezza?

La valanga dei detriti avanza.

Sento il suo brontolio minaccioso, mentre le mura di questa casetta intrepida si preparano a sostenere l’assalto. Per mesi e mesi – mai più avrei pensato a una così eroica resistenza – il gran cumulo è calato su queste mura, su questo tetto. E per mesi e mesi l’invasore è stato battuto, perché ai tempi di mio padre gli uomini costruivano bene, erano maestri nel loro mestiere. Robuste travi, solidi blocchi, buon lavoro e amore alla bisogna, tutto c’è in questa casa.

La famiglia Morgan

Huw appartiene a una famiglia di minatori da generazioni, in una sorta di condanna; eppure fanno un lavoro di cui sono fieri. È diventato minatore come i fratelli, nonostante i suoi cari gli abbiano offerto una possibilità di fuga tramite la scuola e l’università, in quanto molto dotato per gli studi. L’aver vissuto un’esistenza dura e spartana, funestata da incidenti anche mortali, non cancella i ricordi dell’infanzia e ammanta quell’età di un’aura poetica e ironica al tempo stesso.

I genitori di Huw sono entrambi burberi ma pieni di tenerezza e solidarietà non soltanto per i figli, ma anche nei confronti del prossimo, mentre i fratelli e le sorelle maggiori, la cognata Bronwen garantiscono al bambino quel clima di connivenza maschile e di affetto femminile di cui lui ha bisogno. Spassosissimi sono i battibecchi tra il padre e la madre, per esempio su un problema di matematica assegnato a Huw dalla Scuola Nazionale che frequenta:

Tutto andò molto bene, finché s’arrivò a quel genere di problemi in cui un bagno si riempie a tanti litri all’ora, e ci sono due buchi da cui esce l’acqua, e bisogna dire quanto tempo ci vorrà a riempire il bagno; allora la mamma posò le calze che stava rammendando e fece schioccare la lingua per l’impazienza.

“Che cosa c’è?” chiese il babbo. “Ma è ben ridicola quella Scuola Nazionale”, fece la mamma. “Non hanno un briciolo di buon senso comune i loro problemi. Riempire un bagno bucato, chi ha mai visto! Chi vuoi che sia così scemo?” “Ma è per fare delle operazioni, mia cara,” spiegò il babbo. “Sono problemi da risolvere”. [] “L’acqua entra, e ci mette tanto tempo. Quanto ci vuole a riempire il bagno? Ecco tutto.” “Ma chi è che versa dell’acqua in un vecchio bagno pieno di buchi?” esclamò mia madre. “A chi può venire in mente una cosa simile, se non è un matto?” “Oh, corpo d’un diavolo!’ esclamò mio padre, posando il libro e alzando gli occhi al cielo. “Ma è per vedere se il ragazzo è capace di calcolare. Cifre, nient’altro. Quanti litri, e quanto tempo.” “In un bagno pieno di buchi!” esclamò la mamma, arrotolando la calza e buttandola nel cestino; ma cadde fuori e dovette ributtarla dentro due volte con uguale energia. […] “Sentiamo i decimali allora, e che ci sia pace in famiglia, per l’amor di Dio”, disse il babbo.

Huw è un ragazzino dal cuore grande, che salva se stesso e gli altri dai pericoli, che parla per difendere i più deboli, con franchezza disarmante. Ciò non toglie che a scuola, dove è costretto a parlare inglese, e non gallese, venga preso di mira dai compagni e soprattutto da un maestro manesco e sadico.

Una comunità dalle regole ferree

La famiglia Morgan appartiene a un consesso più vasto, quello del paese, e spesso interagisce con gli abitanti delle valli limitrofe. Vi sono regole scritte e non scritte, molto rigorose, da osservare, pena l’ostracismo. È obbligatorio recarsi tutte le domeniche in cappella per assistere alle funzioni, ricevere la visita in casa del proprio pastore – in questo caso l’amabile signor Gruffyd – per avere consigli e ammaestramenti. Magari si fa parte del coro, che un giorno – chissà – potrebbe essere chiamato a cantare davanti alla regina d’Inghilterra, definita Madre.

Molto toccante è la storia d’amore impossibile tra Angharad, sorella maggiore di Huw, e il pastore signor Gruffyd, anche se aleggia sempre, sull’intera vicenda, lo spauracchio del disonore della peccatrice. È esattamente ciò che accade a Meillyn Lewis, una ragazza giudicata in pubblico, dal gruppo dei decani del villaggio, per il suo comportamento.

 I sacerdoti, gli scribi e i farisei erano radunati a consiglio e se la godevano un mondo.

“La vostra lussuria vi ha tradita”, strillava il signor Parry, e giù un pugno sul parapetto, “e avete pagato il prezzo di tutte le donne simili a voi. Il vostro corpo è il trabocchetto del diavolo e voi vi siete abbandonata alle tentazioni. Ora state per mettere al mondo un figlio illegittimo, contro il comandamento di Dio: ‘Non fornicare’. La preghiera è vana, per esseri della vostra specie, e non siete degna di entrare nella casa di Dio. Sarete respinta fuori nelle tenebre, finché non abbiate imparato la vostra lezione. ‘Io sono un Dio geloso, e i peccati dei padri ricadranno sui figli fino alla terza e quarta generazione’. Meillyn Lewis, confessate il vostro peccato?”

Meillyn Lewis esalò il suo terrore in uno straccetto inzuppato, e mormorò di sì, che lo confessava.

Vi sono anche dei rituali laici, come l’usanza per le donne di sedersi su una seggiola davanti alla casa, tenendo aperto il grembiule o reggendo una scatola; là i maschi di famiglia, sfilando dopo una giornata di lavoro in miniera, metteranno la loro paga. O norme come riunirsi tutti attorno al tavolo imbandito, dire la preghiera prima di allungare le mani sul cibo, non interrompere gli adulti mentre parlano.

Un mondo in trasformazione

Ma tutto sta mutando, e nel romanzo “Com’era verde la mia vallata” i minatori cominciano a organizzarsi nelle prime associazioni (l’Unione) per rivendicare un salario più equo, migliorare le condizioni di lavoro; e iniziano anche a scioperare, coinvolgendo i minatori di altre vallate. Soprattutto Davy Morgan, il più risoluto e coinvolto politicamente, è deciso a fare in modo che le cose cambino. Il romanzo diventa a tratti corale, senza mai perdere il punto di vista di Huw, che in svariati modi riesce a essere testimone di fatti cruciali come le riunioni clandestine dei lavoratori.

Sin da subito, si crea una spaccatura generazionale tra vecchi e giovani, tra il punto di vista che esige una stabilità pagata a caro prezzo, cui la maggioranza sembra assuefatta, e un futuro che può essere incerto, proprio a causa della ribellione a uno status quo. Le giuste rivendicazioni mettono i lavoratori a rischio di essere licenziati dal padrone della miniera (come avverrà). Molti minatori abbandoneranno il villaggio per cercare, in patria e all’estero, una vita migliore.

La famiglia Morgan, pur così unita, finisce per dividersi: i ragazzi più grandi si sposeranno e abiteranno altrove, oppure emigreranno, mentre la miniera e i suoi profitti stritoleranno in vario modo le esistenze di chi ha deciso di restare.

E i pettegolezzi non risparmieranno Angharad e il signor Gruffyd, con la loro sofferta storia d’amore, pur facendo vacillare anche il perbenismo di cui è intriso il piccolo consorzio umano.

“(Angharad) Aveva i capelli appuntati tutt’intorno alla testa e stava molto bene, con un cappellino guarnito di fiori azzurri. Portava una camicetta di seta pieghettata davanti, color delle violacciocche gialle, una sottana più scura con una cintura alta, azzurra come il cappello, chiusa da una grossa fibbia ovale d’argento. E sul cuore aveva un orologio d’oro con un nodo, e al dito un anello, l’anello matrimoniale.

Quella era la ragazza che lavava i piatti nel nostro retrocucina, e fregava il pavimento, e faceva il solletico nel collo al babbo per farsi dare un penny, e scorrazzava per la collina come un maschiaccio!”

La natura come protagonista

Ma il personaggio principale, come si intuisce facilmente dal titolo del romanzo “Com’era verde la mia vallata”, è proprio la natura e le sue manifestazioni. Vi sono descrizioni mirabili come la fioritura delle giunchiglie in cima alla collina. Esse ricordano i componimenti di William Wordsworth, poeta inglese che visse al tempo della rivoluzione industriale e che puntò il dito contro gli sversamenti dei prodotti chimici nei fiumi e l’inquinamento dell’aria messo in atto dalle grandi fabbriche.

Temi che sono prepotentemente alla ribalta nella nostra quotidianità, e che vengono bene esemplificati nel romanzo. Ecco la descrizione di che cosa accade nel fiume a causa degli sversamenti della miniera, nel corso di una passeggiata di Huw con il signor Gruddyd.

La prima cosa che vidi fu il mucchio di detriti.

Era diventato grosso e lungo e nero, senza segno di vita, allungato sul fondo della vallata lungo le due rive del fiume. L’erba verde, e le canne e i fiori, tutto era scomparso, soffocato e schiacciato. E ad ogni minuto il mucchio cresceva, man mano che i vagoncini salivano dal pozzo cigolando sui cavi, e fermandosi con un colpo al molo di scarico vuotavano il loro contenuto polveroso su quel dorso sudicio rugoso e nero.

Da questa parte della vallata, il cumulo arrivava al muro dei giardini della prima fila di case, e i bambini che abitavano lì giocavano su e giù per il nero pendio, urlando e strillando, ridendo e divertendosi. Dall’altra parte del fiume i camini delle prime case si vedevano appena dietro la linea nera e ricurva del mucchio di là, e per tutto il tempo che stetti a guardare, i cavi cigolarono e i vagonetti si svuotarono.

Il film “How green was my valley”

Nel 1941 John Ford realizzò un lungometraggio assai bello, che vinse ben cinque Oscar nella categoria di miglior film, migliore regia, migliore attore non protagonista (Donald Crisp che interpreta Gwilym Morgan, il padre), per la migliore fotografia ad Arthur C. Miller, e per la migliore scenografia a Richard Day, Nathan Turan e Thomas Little.

Pur con i dovuti tagli e adattamenti, il film è piuttosto fedele al romanzo, e merita la visione. Purtroppo, cadde nel dimenticatoio e giudicato come uno dei lavori meno riusciti del regista. In Italia apparve con il titolo di “Com’era verde la mia valle” e, se volete vederlo, è reperibile su youtube.

***

Avete letto questo romanzo o visto il film? Vi sono luoghi vicino a voi che hanno subito una trasformazione in peggio a causa dell’inquinamento o altri fattori?

Cristina M. Cavaliere

***

Fonte testo: “Com’era verde la mia vallata” di Richard Llewellyn – Arnoldo Mondadori editore

Fonte immagini: Wikipedia e IMDb