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Come promesso vi proponiamo alcuni passaggi del libro che costituisce un giusto corollario al post precedente, che potete trovare qui. Infatti avevamo deciso di dividere in due il post per non renderlo troppo lungo e per dare il giusto risalto all’autrice.

Si tratta di alcuni significativi stralci di uno splendido libro di denuncia, inevitabilmente molto amaro: ogni vostro commento sarà, come sempre, graditissimo!

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Le tre ghinee, di Virginia Woolf

Breve nota personale: V.W. scrive Le tre ghinee tra il 1937 /38 mentre la guerra sta per diventare una dolorosa realtà e mentre ha in progetto di scrivere un libro che si sarebbe intitolato “Sull’essere disprezzati-disprezzate”. A quell’epoca lo scrittore e suo amico E.M. Forster, molto impegnato nelle iniziative antifasciste, la informò che nel comitato da lui promosso le donne non sarebbero state ammesse, in quanto considerate un elemento di disturbo.

 Nel redigere Le tre ghinee, la Woolf immagina di ricevere la risposta a tre lettere che contengono una sua ipotetica richiesta in denaro, indirizzata a un fittizio ‘Fondo per aiutare le figlie degli uomini colti’, e mirate a tre cause: la prevenzione dalla guerra, un’università femminile, un’assistenza alle donne che vogliono esercitare una professione.

Nelle immaginarie risposte l’autrice dimostra che le tre cause, non solo sono identiche e inseparabili, ma mettono in luce quanto la donna sia sempre stata esclusa ed emarginata.

Circa tre anni dopo, nel 1941, l’autrice morirà suicida.

 Ci consenta dunque di sottoporre la sua lettera, in cui ci chiede di aiutarla […] Perché chiede quattrini? Prima di darle una ghinea o di definire le nostre condizioni, le chiediamo di spiegare. […] Dunque, vediamo, Lei chiede quattrini per pagare l’affitto del suo ufficio. Ma come può essere, com’è possibile, Gentile Signora, che lei sia così povera? Sono quasi vent’anni che le libere professioni sono aperte alle figlie degli uomini colti. […] per esempio, c’è chi dice che la Sua apatia è tale che non è disposta a lottare neppure in difesa della libertà che Sua madre ha conquistato per Lei. Questa accusa gliela muove lo scrittore H. Wells, il quale afferma: “Non si è assistito al formarsi di alcun movimento femminile degno di nota diretto a contrastare il virtuale annullamento della libertà delle donne da parte del fascismo e del nazismo”. Ricca, pigra, golosa e apatica qual è, come può avere l’impudenza di chiedermi di dare un contributo a un’associazione che aiuta le figlie degli uomini colti a guadagnarsi da vivere con le libere professioni? Infatti […] Lei non ha posto fine alla guerra, nonostante il voto e il potere che esso avrà certamente portato con sé. Lei non ha contrastato il virtuale annullamento della sua libertà, da parte del fascismo e del nazismo. Cos’altro possiamo concludere se non che il cosiddetto ‘movimento femminile’, nella sua totalità, si è dimostrato un fallimento? […] Allora, cominciamo a considerare i fatti, fissando lo sguardo al corteo dei figli degli uomini colti. Lei scrive: “Eccoli i nostri fratelli, educati nelle scuole private e nelle università; salgono quelle scalinate, entrano e escono da quelle porte, ascendono a quei pulpiti, pronunziano orazioni, impartiscono lezioni, amministrano la giustizia, praticano la medicina, concludono affari, fanno quattrini. Bisnonni, nonni, padri, zii, tutti hanno percorso quelle strade, con la toga addosso, con la parrucca in testa, alcuni con le fasce e nastri al petto, altri senza. Uno era vescovo. Un altro giudice. Uno era ammiraglio. Un altro generale. Uno era professore all’Università. Un altro era medico.”

 

È uno spettacolo solenne, questo corteo, e osservandolo di nascosto dovremmo porci delle domande. […] Lei continua scrivendo: “Pensate: uno di questi giorni (voi donne) potreste portare la parrucca di giudice, mettervi sulle spalle una cappa di ermellino; sedere sotto il leone e l’unicorno; ricevere uno stipendio di cinquemila sterline l’anno e avere la pensione. Nessuno oserà contraddirci […] e chi può dire che, in un tempo a venire, non porteremo l’uniforme dei soldati. […] Voi ridete: è vero, l’ombra delle pareti domestiche ci fa ancora sembrare un po’ ridicole quelle uniformi. Siamo così abituate a portare vestiti normali, a portare il velo che S. Paolo ci impose. Ma non siamo qui per ridere o per parlare di moda, maschile o femminile. Ci troviamo qui per porci domande molto importanti […]: abbiamo voglia di unirci a quel corteo, o no? A quali condizioni ci uniremo ad esso? E, soprattutto, dove ci conduce il corteo degli uomini colti? […] Bisogna trovare una risposta”. 

 

Ma Lei obietterà, Gentile Signora, che non ha tempo di pensare. […], del resto, le figlie degli uomini colti hanno sempre pensato i loro pensieri così alla buona; non a tavolino, nel proprio studio, nella solitudine tranquilla di un chiostro d’università. Hanno pensato mentre rimestavano la minestra, mentre dondolavano la culla. […] Allora, rivolgiamoci alle vite, non degli uomini, bensì delle donne del diciannovesimo secolo che hanno esercitato le libere professioni. Ma ci dev’essere una lacuna nella sua biblioteca, Gentile Signora. Non si trova nessuna vita di donne che hanno esercitato le professioni nel diciannovesimo secolo. Una certa signora Tomlison, moglie di un tal signor Tomlison, membro della Royal Society, membro dell’Ordine dei Medici, ce ne spiega il motivo: […] a quanto pare una donna nubile non aveva altro modo da guadagnarsi da vivere che fare la governante […]. Ecco, è saltato fuori un documento scritto intorno al 1811. Ci fu, a quanto pare, un’oscura signorina, a nome signorina Weeton, che aveva l’abitudine di segnare su un diario i suoi pensieri […]. Eccone uno: ‘Oh, come ardevo dal desiderio di imparare il latino, il francese, le lettere e le arti, qualunque cosa piuttosto che la noia di cucire, far lezione, copiare in bella scrittura, lavare i piatti, tutti i giorni…. Perché alle ragazze non permettono di studiare fisica, teologia, astronomia, ecc., ecc., e le scienze ancelle, la chimica, la botanica, la logica, la matematica, eccetera?’ […] Non si può dire che le donne del diciannovesimo secolo fossero prive di ambizione. Abbiamo Josephine Butler che, pur non essendo una professionista in senso stretto, fu colei che condusse e vinse la battaglia contro la Legge sulle malattie infettive e più tardi la campagna contro il commercio dei bambini ‘per fini scellerati’. Scopriamo che Josephine Butler si oppose a che venisse scritta la sua biografia, mentre alle donne che l’avevano aiutata a combattere le sue battaglie diceva: ‘E’ degna di nota in loro la assenza più totale di ogni desiderio di riconoscimento, di ogni traccia di egoismo in qualunque forma’. Questa dunque era la virtù che la donna vittoriana apprezzava e praticava: non cercare riconoscimenti; non essere egoista. […] Ma continuiamo a leggere tra le righe delle biografie. E tra le righe delle biografie dei loro mariti troviamo moltissime donne che esercitavano… ma come possiamo chiamarla la professione che consiste nel mettere al mondo nove o dieci figli, la professione che consiste nel dirigere la casa, nel curare un invalido, nel visitare i poveri e i malati, nell’accudire ora a un vecchio padre ora a una madre anziana? È una professione che non ha nome, né uno stipendio; ma sono così numerose le madri, le sorelle, le figlie degli uomini colti che nel diciannovesimo secolo esercitavano quella professione che siamo costrette a fare un unico fascio di tutte quelle donne e delle loro vite che si intravedono dietro le vite dei mariti e dei fratelli. […] Ecco, di nuovo, le parole di una donna che, se non fu una professionista nell’esatto senso del termine, raggiunse tuttavia una certa indefinibile fama con i suoi viaggi: Mary Kingsley. ‘Non so se ti ho mai detto che l’unica istruzione a pagamento che mi hanno concesso sono state le lezioni di tedesco. Per l’educazione di mio fratello vennero spese duemila sterline, e è da sperare non invano.’ Questa frase è talmente ricca di spunti […] implicitamente ci fa sapere di aver ricevuto un’istruzione che non era a pagamento. […] E in cosa consisteva dunque […]? Maestre furono la povertà, la castità, la derisione e la libertà da fittizi legami di fedeltà. Fu questa istruzione non pagata, ci informano le biografie, che le rese molto appropriatamente adatte a esercitare professioni non pagate. […]

 

Non dovrebbe esser difficile trasformare il vecchio ideale della castità del corpo nel nuovo ideale della castità della mente, sostenere che se era peccato vendere il corpo, è un peccato ancor più grave vender la mente per denaro, giacché la mente, lo dicono tutti, è più nobile del corpo. […]

 

Se Lei accetta di farlo, (se accetta che le donne non chiedano denaro per il lavoro intellettuale) la nostra contrattazione può dirsi terminata. E la ghinea per pagare l’affitto è sua… […]

 

Queste dunque sono le condizioni alle quali le invio una ghinea per aiutare le figlie delle donne incolte a intraprendere le libere professioni. E speriamo, ponendo fine alla perorazione, che le rimanga il tempo per dare il tocco finale alla sua vendita di beneficenza, per sistemare la lepre e la caffettiera e accogliere l’Onorevolissimo Sir Simpson Legend, insignito dell’Ordine al Merito, Cavaliere dell’Ordine di Bath, Dottore in Legge, Dottore in diritto Canonico, Ex-capitano di fregata, e tutto questo, con quell’aria di sorridente deferenza, che si conviene alla figlia di un uomo colto alla presenza del fratello!

Clementina Daniela Sanguanini